Apprendere significa rientrare nella norma? Correttezza, velocità di elaborazione ed esecuzione, autonomia, acquisizione delle competenze adeguate alla norma per età scolare. Sembrano queste essere oramai le prime parole a caratterizzare l’apprendimento scolastico. La rete degli standard di normalità media offusca di fatto la singolarità e le sue differenze.

Eppure il percorso di apprendimento non riguarda solo la dimensione cognitiva e performativa misurabile a livello di campionatura statistica. L’apprendimento è occasione di crescita multidimensionale, riguarda la sfera cognitiva, certo, ma anche quella emotiva e relazionale. Si tratta di dimensioni fortemente intrecciate che traggono beneficio reciproco. Non tutto è quantificabile, soprattutto il dispiegamento dell’apprendimento umano e della molteplicità dei modi in cui si giunge a cogliere una cosa anziché un’altra, in un dato tempo anziché in un altro, in un contesto rispetto che in un altro. In fondo gli studi nel campo delle scienze umane condividono la capacità plastica della nostra mente di apprendere ad apprendere, durante tutto l’arco della vita.

La differenza va certificata?

È fissata alla terza classe della scuola primaria l’acquisizione degli apprendimenti strumentali (scrittura, lettura e calcolo) altrimenti c’è un problema di deviazione dalla media normalizzante. Il punto è che una certa ansia di rilevare i parametri di acquisizione “normale” si fa sentire già i primissimi mesi della prima classe primaria. Bambini che rimangono indietro e faticano rispetto al resto della classe vengono subito segnalati per un possibile disturbo neurobiologico, generando diversi effetti a cascata sulla psiche stessa del bambino. È un sistema evidentemente che non funziona, tra normativa ministeriale, insegnanti, psicologi, genitori.

Il fine dichiarato sarebbe l’inclusione di tutte le differenze singolari all’apprendimento. L’ideale non è da condannare in sé, ma il modo in cui questo accade sembra andare in tutt’altra direzione. Forse che la psicologia dello sviluppo dovrebbe lavorare a fianco degli insegnanti, interagire con loro con rispetto e cautela? Formare il loro sguardo e i loro modi di comunicare nella gestione delle differenze lavorando all’interno del gruppo classe? Forse che la normativa stessa potrebbe andare in questa direzione: ridimensionando il numero di allievi per classe, valorizzando il ruolo dell’insegnate anche a livello remunerativo o fornendo finanziamenti alla scuola per farvi entrare il sostegno della psicologia?

Esistono davvero bambini con Bisogni Educativi Speciali?

L’inclusione passa attestando la presenza di esigenze educative speciali (BES) rispetto ad altre? Oppure ogni singolarità è da considerarsi diversa e speciale nelle modalità del suo apprendimento e della sua storia di vita? È l’occhio dell’insegnate che può e deve imparare a cogliere le singole diversità dei suoi alunni. Modulare via via le misure didattiche, le valutazioni e la lezione in relazione alle singolarità che si trova di fronte e in interazione all’interno del gruppo, che impara a conoscere con il trascorrere dei giorni. L’inclusione delle differenze è una questione che si presenta a monte, dispiegandosi nelle relazioni didattiche che si formano all’interno della classe. Considerata invece a posteriore, verrà applicata solo su alcuni bambini, quelli che presentano una certificazione clinica scritta che attiva loro un Piano Didattico Personalizzato.

Ritorna urgente la domanda: apprendere significa rientrare nella norma? I progressi della ricerca psicologica attorno allo sviluppo psichico in relazione ai processi quali l’intelligenza e l’apprendimento vanno sì integrati alle altrettanto approfondite nuove strategie pedagogico-didattiche in quanto formazione costante delle nuove generazioni di insegnanti e sostegno al loro lavoro in classe. La collaborazione psico-pedagogica si attua nei modi di relazione e interazione didattica di tutti i giorni e non solo su quei bambini che presentano “bisogni speciali”. La divisione retorica tra “bambini speciali” e “bambini normali” non porterà lontano nel cammino dell’inclusione. Difficilmente consente di valorizzare e accettare modalità differenti di essere e di apprendere.

(Immagini in evidenza: Foto di Min An da Pexels; Foto di Victoria Borodinova da Pexels)