Una fiaba particolare e altamente caratteristica come, in fondo, la modalità di vivere di diversi soggetti, di bambini isola con affezione autistica. Il bambino di porcellana di Francesco Enna si propone quale lettura per ragazzi, eppure è tutto fuorché semplice e di immediata comprensione. I piani si intrecciano, il fantastico, il realistico e il simbolico faticano a trovare discernimento. Ci troviamo innanzi a una storia di amicizia tra un professore, volontariamente isolato dalle persone, a causa del lutto della moglie, e un bambino che vive letteralmente nel suo mondo in quanto affetto da autismo.

Il professore è fatto di pietra pomice, scostante, ombroso, duro ma, in quanto pomice, presenta anche tantissimi pori poiché “qualcosa gli si era rotto dentro” (p. 9), irreparabilmente. Il bambino è di porcellana “gracilissimo, tutt’occhi: occhi neri e grandi, pieni di dolore, dallo sguardo vago, che non si fissava su nulla di preciso (…) esseri straordinariamente fragili, che potrebbero rompersi al contatto con altre persone” (pp. 12-14).

Raggiungere isole remote

Il libro risalta due forme di solitudine per un certo verso estreme e profonde, quelle che avvolgono in fasce tutto l’essere, isolandolo. Il mondo di un essere diventa una vera e propria isola, apparentemente irraggiungibile, nessun lembo la congiunge ad altre terre. Questa forma di solitudine crea un alone spesso attorno all’essere, “una specie di campo di forza impenetrabile” (p. 15) o un bozzolo magico. Eppure tra il professore e il bambino si crea, a poco a poco, una zona prossimale terza in cui le due solitudini tendono ad asintoto e possono, se non entrare in un rapporto convenzionale, mettersi in contatto e produrre un’affezione reciproca, una trasmissione tra un’isola e l’altra.

Questa zona intermedia s’innesca mediante regolazione della distanza, punti di affinità e curiosità reciproca: “Bisogna cercare la frequenza giusta per entrare in sintonia” (p. 20). Questa risonanza comune permette di accedere alle isole più remote dell’essere, di percorrere così rotte comuni, traiettorie di fantasia mediante cui è possibile condividere esperienze che arricchiscono sia l’una che l’altra psiche in contatto.

“Così Daniele entrò nella vita del Professore e non ne uscì più. Pur essendoci una notevole differenza di età, il vecchio e il bambino avevano molte cose in comune, ma soprattutto la paura del mondo e la solitudine immensa” (p. 18).

affezione autistica

Linea di fuga

Autismo significa “autoisolamento”, ritiro in se stessi e verso il mondo. Scopriamo le traiettorie di una vita fatta di lontananza e assenza. “Era uno strano bambino. Non parlava, non guardava in viso, non piangeva; rovesciava tutto, correva all’impazzata; non giocava con i giocattoli; voleva sempre star solo; non accettava ordini; non esprimeva desideri; era sempre pronto alla fuga” (p. 18).

I bambini isola con affezione autistica richiamano il fenomeno Hikikomori eppure le due forme di ritiro non rientrano nel medesimo spettro. C’è una fuga dalla realtà, sì. Questa linea di fuga apre le porte alla creazione di esperienze nell’immaginario. Dunque non c’è preclusione alla vita, poiché anche attraverso questa linea di fuga si esperisce, si fa esperienza, seppure in una temporalità altra rispetto ai dettami convenzionali. Il professore, mediante un contatto, riesce ad attraversare parti dell’isola-Daniele.

Questo libro testimonia la possibilità di creare un legame affettivo tra due menti, tra due corpi completamente diversi. Ci testimonia di un contatto comune anche là dove l’isola sembra remota e irraggiungibile.

Citazioni tratte dal libro: Francesco Enna, Il bambino di porcellana, Edizione Walk Over spa, Bergamo 1988.

(Immagine in evidenza: Foto di Snapwire da Pexels)